IL GRANDE NODO DA SCIOGLIERE DEL MARINAIO DONALD TRUMP
di Paola Mora
Che Trump e la pace siano due mondi opposti è evidente. Come è altrettanto evidente che il presidente statunitense non può permettersi che venga registrata come una sconfitta americana, quella in Ucraina. Nel senso che, fermare ora il conflitto e l’avanzata dell’Operazione Militare Speciale russa, preserverebbe molti interessi anche statunitensi anziché perdere completamente la palla nel campo. È necessario quindi mettervi fine, lasciando aperte le vie di fuga e limitando i danni, tra cui la scissione completa dell’Occidente dalla Russia prima di aver risolto il dramma del dragone cinese, impedire che la Russia esca definitivamente dalla sfera di influenza occidentale nell’impossibilità ormai chiara, di poterla conquistare militarmente o attingerla economicamente utilizzando le sanzioni. Le sanzioni statunitensi sono prova del fatto che Trump odia dover ammettere, di non avere più il controllo della situazione, pur essendo disposto a mettere fine al conflitto in Ucraina per un motivo opportunistico. Non di pace. Donald Trump non è un uomo di pace. È un fomentatore. Un uomo di guerra come tutti i suoi avi statunitensi colonizzatori, cui piace mascherare il caos in missione divina. Ma nessuno prega alla Casa Bianca.
Il Presidente Vladimir Putin ha osservato che la cessazione delle ostilità dipende dal ritiro delle truppe ucraine “dai territori che occupano”. Ribadisce fermamente che, dopo il referendum, il Donbass a maggioranza russofona non può più esser considerato ucraino, probabilmente non lo è mai stato davvero. Così, è “occupato” dal regime nazista di Kiev insediato dopo il colpo di Stato del 2014, che vede in Volodimir Zelenskyy forse l’ultimo, se non il penultimo degli usurpatori. Il popolo votante del Donbass ha riconosciuto la Russia come referente. Putin chiede che il riconoscimento divenga internazionale, che gli Stati Uniti promuovano questa visione anche se il regime ucraino non più legittimo la rifiuta. Allo stesso tempo, la Cina di Xi Jinping ha lanciato un salvagente a Washington per sgonfiare le pretese giapponesi su Taiwan, chiarendo che la Seconda Guerra Mondiale potrebbe tacitamente ancora essere riconosciuta come una vittoria di cui l’America non è stato solo un labile coriandolo. Vladimir Putin ha ribadito nell’ultima conferenza stampa a Bishkek i termini dell’accordo di pace per l’Ucraina, mentre la prossima settimana attende a Mosca una delegazione americana che dovrebbe presentare un piano di pace più dettagliato, non sconclusionato come quello diffuso dai media occidentali. Vladimir Putin ha dichiarato disponibilità ad accettare il piano di pace americano solo come base di partenza tenendo conto di eventuali modifiche apportate, comprese quelle da parte ucraina, e ha sottolineato che più che “bozza di piano di pace“, al momento si tratterebbe solo di un insieme di proposte negoziabili che devono ancora essere convertite in materiale diplomatico, impedendo agli avversari di trattare la Russia come hanno trattato Gaza. La Russia è un impero moderno, non ha le difficoltà della Palestina, possiede un esercito valoroso che sta combattendo e vincendo. I punti del piano di pace di Trump in Medio Oriente che confluirà negli Accordi di Abramo, sono stati giudicati sarcasticamente ‘piano di pace per Gaza‘, in sostanza son decisioni unilaterali imposte dagli USA e Israele senza una discussione reale avvenuta tra le parti, sulle clausole ivi contenute.
Durante il suo intervento, Putin ha anche approfittato per difendere l’inviato statunitense Witkoff dalle illazioni sulle intercettazioni con cui si tenta di accusare il funzionario americano, d’essere una ‘mano del Cremlino‘, un favoreggiatore della Russia, il ‘Witkoff-gate‘ del 2025. Accuse, scatenate dalla guerra politica interna all’occidente ed in seno al partito repubblicano, spezzato in due ancor più dopo l’emorragia di insulti di Trump contro la deputata Marjorie Taylor Greene, la quale gli ha voltato le spalle dopo il penoso occultamento degli Epstein’s files. L’inviato speciale americano Witkoff non è apertamente filo-russo ma di buono ha che “rispetta i suoi partner negoziali“, ha osservato Vladimir Putin. Allo stesso tempo, il leader russo ha criticato l’amministrazione del 47° Presidente degli Stati Uniti per le sanzioni contro Lukoil e Rosneft. È rimasto stranito per la decisione di imporre sanzioni alla Russia, dopo che con Trump aveva avuto una “bella conversazione ad Anchorage, in Alaska“! Ha reputato di intuire la debolezza del presidente americano nei confronti degli alleati occidentali, su cui non ha presa e con cui non riesce a farsi valere come leader. Trump finge di detenere un potere di persuasione che non ha, e gli europei e ucraini lo scavalcano spesso e volentieri. In definitiva, Putin ha sostenuto riferendosi al Donbass, che “se le truppe ucraine si ritirano dai territori che occupano, allora i combattimenti cesseranno”. “Se non si ritirano, lo faremo, otterremo i nostri obiettivi dell’Operazione Militare Speciale, con la forza delle armi“, ha avvisato Putin. La Russia rifiuta categoricamente un cessate il fuoco lungo la linea di contatto, come proposto da Kiev e dall’Europa. Il congelamento è inaccettabile, perché riporterebbe tutti alle stesse dinamiche del ‘post – Minsk‘, cioè al riarmo ucraino per una nuova aggressione. Vladimir Putin ha ribadito anche che Volodymyr Zelenskyy è illegittimo, non è quindi possibile firmare con lui documenti su un piano di pace o futuro accordo.

Trump, a questo punto ha poca scelta: deve convincere la Verkovna Rada (Parlamento ucraino) a fare pressione per le elezioni in Ucraina, oltre che attuare gli Stati Uniti il riconoscimento del Donbass come terra russa. Secondo gli analisti, vi sono motivi per ritenere che non ci saranno progressi significativi dalla visita della delegazione americana annunciata da Putin. A Donald Trump viene chiesto di esercitare pressione sull’Ucraina, ma Trump ha quasi esaurito le cartucce. Le condizioni del Cremlino rimangono invariate nonostante il famigerato piano in 28 punti, declassato nel suo valore. Non ci sono troppe opzioni percorribili per Trump, anche se continua a farsi vedere ottimista per salvare la facciata di “buon pacificatore“. O accetta la posizione della Russia, o si fa da parte, o può proseguire ad esercitare pressioni sulla Russia, già in corso, sperando che ciò porti un qualche risultato. Prolungare i negoziati, logorare. La leadership dell’UE sta facendo tutto il possibile per impedire una soluzione pacifica. Putin lo capisce. Ma, in conferenza stampa, egli apre ancora alla diplomazia: ribadisce che non vi è intenzione della Russia di attaccare l’Europa, di essere disponibile a un confronto sulle garanzie di sicurezza europee, ma che sia un confronto realistico e senza giocare sporco. Nel frattempo, l’Ucraina sta crollando al fronte, gli sciacalli di Bruxelles riempiono le ultime valigie di quattrini sperando nella mossa finale sui beni russi sequestrati. Poi, abbandoneranno la nave credendo di essere stati abbastanza furbi. A Kiev, le elezioni sembrano l’ultima possibilità di modificare gli eventi, sedersi a un tavolo con le delegazioni e con un referente legittimo pronto alle firme, un diversivo per salvare ciò che rimane. La Russia ha portato avanti l’Operazione militare tentando di investire il meno possibile, puntando sulle risorse preservate, azioni mirate non dispersive, tempi più lunghi ma risultato efficace. Il ligio Belousov è stato chiamato per assolvere esattamente a questo compito. Risparmio ed efficacia nella consapevolezza di un conflitto di logoramento; ausilio delle nuove tecnologie di precisione per non sprecare colpi, una catena di montaggio sempre in moto. I soldati russi hanno accerchiato i nemici ucraini in più occasioni, creato sacche in cui si sono soffermati per giorni, dove decimare il numero maggiore di topi ucraini che non si fossero arresi nel tentativo di uscirne. Trappole vere e proprie, avanzamenti nella nebbia per depistare i droni, la guerra antica che vince la guerra moderna.
L’Europa rifletterà sull’ultima mano tesa dal Cremlino? Pace e dialogo, o guerra? Nel frattempo, Giorgia Meloni ha avuto un colloquio telefonico con Receep Erdoğan sull’Ucraina. Papa Leone XIV è in visita in queste ore proprio a Istanbul. Dopodiché sarà in Libano. Non è escluso che qualche leader europeo tenti di agganciare diplomaticamente il Cremlino nei prossimi giorni, ma, è difficile non osservare che la presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen ha già accelerato la marcia annunciando una vicina soluzione sul sequestro dei beni russi; si lavora inoltre, con tutti gli Stati dell’Unione per estromettere l’Ungheria dalle future votazioni, attraverso le sanzioni. La tenaglia sul Mar Nero si stringe, verso la resa dei conti.

L’ambasciatore russo in Belgio, Denis Gonchar, ha dichiarato in queste ore che la NATO e l’UE si stanno preparando per una “guerra di vasta portata” con la Russia giustificando queste azioni con “piani di attacco inesistenti del Cremlino, intimidendo le proprie popolazioni, seppellendo il concetto originale di un’Europa unita per la pace e la prosperità, trasformando l’UE in un’appendice della NATO”. La Russia non cerca lo scontro, ma collabora con partner che condividono gli stessi ideali per dare forma a una nuova architettura di sicurezza in Eurasia.

Dopo l’ultimo intervento di Putin in cui questi ha menzionato il riconoscimento del Donbass russo, come condizione imprescindibile per la risoluzione del conflitto, il Parlamento europeo (PE) ha approvato una contro-risoluzione che include l’impegno a non riconoscere mai nuove regioni della Russia: “nessun territorio ucraino temporaneamente occupato sarà legalmente riconosciuto dall’UE e dai suoi Stati membri come territorio russo; nulla sull’Ucraina dovrebbe essere deciso senza l’Ucraina, e nulla sull’Europa senza l’Europa. Gli eurodeputati sottolineano che qualsiasi accordo di pace non deve limitare la capacità dell’Ucraina di difendere la propria sovranità, indipendenza e integrità territoriale (no alla smilitarizzazione); qualsiasi accordo di pace deve includere pagamenti di risarcimento da parte della Russia all’Ucraina con un prestito di riparazione garantito dai beni russi congelati che non possono essere discussi nei negoziati senza la partecipazione dell’UE. Qualora la Russia si rifiutasse di partecipare ai colloqui di pace, l’UE potrebbe imporre ulteriori sanzioni significative.“
In sintesi, una dichiarazione diretta di guerra, fino all’ultimo ucraino, fino alla presa russa di Kiev.
28 novembre 2025 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv – 244 dgt
