SCELTE E TRAUMI TRA LIBERTA' E POSSESSO: LA FAMIGLIA CHE VIVE NEL BOSCO COME MODELLO PER LA SOCIETA'
di Paola Mora Sabatino
Non è chiaro il motivo per cui si è arrivati a togliere tre bambini a una famiglia il cui peccato è stato quello di scegliere una vita nel bosco. Il duro provvedimento, a meno che non vengano riscontrati dei reali motivi per procedere come gli addetti hanno scelto, pone leciti dubbi sugli operati e rivendica il serio impegno alla solidarietà intesa come pazienza, accortezza nell’aiutare quelle famiglie che ne hanno bisogno ma non ritengono di averne bisogno, agire invece con fermezza in quei casi dove un genitore non è realmente in grado di crescere un figlio, poiché abusi e maltrattamenti sono all’ordine del giorno. Se guardiamo ai fatti occorsi a Palmoli, paesello di Chieti, recentemente un problema c’è stato ed ha riguardato un’emergenza per cui le autorità sono dovute intervenire, dopo che gli era stato segnalato un caso di intossicazione alimentare di un intero nucleo familiare composto da cinque persone: due genitori e tre figli, una bambina di otto anni e due gemellini di sei. La mamma è di origini australiane. Il padre, origini inglesi, ha svolto varie professioni tra cui il commerciante di mobili e lo chef, in giro per il mondo. Nathan e Catherine condividono la scelta di una vita integrata totalmente nella natura (niente elettricità, niente telefono, niente acqua corrente, niente gas, niente scuola tradizionale). Un contenzioso giudiziario nato dall’incidente sanitario, spinge dopo alcuni mesi il Tribunale per i minorenni dell’Aquila a sospendere la responsabilità genitoriale a Nathan e Catherine, trasferendo i tre bambini in una casa famiglia dove viene concessa anche la presenza della madre. Nathan, rimane in attesa nell’abitazione immersa nel verde del bosco. I media parlano di un “allontanamento non traumatico” grazie alla mediazione dell’avvocato difensore, Giovanni Angelucci. Secondo le ricostruzioni, dopo aver ingerito funghi non commestibili o che hanno indotto l’intossicazione in tutta la famiglia, madre, padre e la bimba più grande hanno perso i sensi accasciandosi al suolo. I due gemelli piccoli che avevano ingerito meno cibo riescono da soli a uscire dal bosco per incanalarsi su una strada, ove un uomo su un mezzo agricolo li scorge e riesce a capire che è successo qualcosa. Il ricovero in ospedale aggiusta tutto, ma una relazione dei Carabinieri sarà foriera di controlli che porteranno infine, il Tribunale dei minori dell’Aquila, ad allontanare i piccoli dalla propria abitazione nella difficoltà di trovare un compromesso coi genitori per “aggiustare” le condizioni sanitarie di alcuni ambienti della casupola, e determinare un “aumento della socialità” per i bambini che altrimenti, rimarrebbero troppo isolati dal contesto cittadino. Viene proposto a esempio un pediatra che possa visitare i bambini saltuariamente, o alcune visite immediate che i due genitori rifiutano schernendo, secondo i media, di essere disposti a farlo solo in cambio di grosse somme di denaro. Ovviamente, nulla di vero. Semplicemente, una ferma opposizione a violare la privacy sanitaria dei piccoli. Una resistenza che, probabilmente, per i genitori rappresenta l’inviolabilità del corpo senza consenso, e per i giudici è eccessiva data l’intossicazione avvenuta in precedenza, o le condizioni sanitarie poco igieniche della “zona bagno” nella casetta, una fossa dove espletare i bisogni fisiologici. L’Avv. della Difesa si mette subito all’opera, ravvisa alcune incongruenze descritte dall’accusa, al medesimo tempo coinvolge i due genitori per convincerli a risolvere alcuni punti delle richieste dei giudici, quelli relativi a una maggiore sicurezza e aumento della socialità, per determinare il pacifico rientro di tutta la famiglia a casa.
Sui media si è aperta una caccia alle streghe, con il coinvolgimento di giornalisti in cerca di audience, poco attenti alla presenza dei minori e che hanno trovato una famiglia disposta tuttavia a parlare. Ma la campagna di odio virtuale irrompe, crea problemi anche alla stessa “famiglia del bosco“, accusata di strumentalizzazione dei social-media per vedersi favorita la vicenda giudiziaria; l’avvocato difensore smorza i toni, reagisce severamente alle minacce ricevute sul web dalla presidente del Tribunale dell’Aquila che ha predisposto l’allontanamento dei bambini, Cecilia Angrisano, ribadendo che “i processi si svolgono nelle aule e non sui social“. Il sindaco del Paese, Giuseppe Masciulli, si posiziona anch’egli su una via mediana e neutrale: solidale con la famiglia, ma onesto nel rilevare che l’intervento dei giudici è stato giustificato dalla vicenda dell’intossicazione, poiché codesta emergenza avrebbe messo in luce una fragilità della famiglia all’interno della propria scelta di isolarsi senza troppe cautele, ma non condividendone totalmente la modalità, ovvero la decisione traumatica dei giudici, d’allontanare i bimbi dalla famiglia e dalla casa. L’intervento successivo del Ministro della Giustizia Carlo Nordio servirà a fare luce specificamente su questa modalità del Tribunale dei minori, e, contemporaneamente, a capire di cosa questa famiglia ha realmente bisogno per evitare che, in situazioni similari, possa ripetersi una dinamica dove il troppo isolamento si trasforma in rischio. Il problema non è l’intossicazione in sé, che potrebbe accadere a chiunque, ma, evidentemente, l’assenza di mezzi veloci per comunicare che ha spinto i due gemellini più piccoli ad allontanarsi da soli nelle radure fino alla strada. Senza entrare nel merito della documentazione tecnica e della bagarre giudiziaria che non possediamo, se non qualche stralcio mostrato sui giornali, in assenza di elementi che possano completare un giudizio/critica personali verso una o l’altra parte che dibattono le proprie ragioni, è possibile comunque snocciolare qualche osservazione sul momento storico che attraversiamo e collocazione della vicenda nel quadro sociale.
Siamo a un capolinea dove diventa necessario fare delle scelte radicali, analizzare gli ultimi anni e soprattutto la frattura psicologica che si è allargata, tra “cittadino” e “istituzione“. La prevaricazione e l’abuso praticati dai governi in Europa durante la pandemia – soprattutto in Italia, il Paese più colpito dal COVID-19 dopo la Cina di Xi Jinping – consistiti nell’abolizione della Costituzione e calpestamento dei diritti umani inviolabili tra cui la libertà di scelta, hanno indotto un meccanismo inverso di allontanamento di interi nuclei familiari dalle città, troppo vicine agli schemi delle istituzioni: tasse pagate a peso d’oro, incapacità di insegnare nelle scuole con un’istruzione neutrale – meno allineata alla politica, più attenta alle esigenze di famiglia e figli – discriminazione sanitaria e imposizione di cure sperimentali. La ricerca del cittadino è stata quella della libertà, svincolarsi dalla maggior parte di quelle abitudini del mondo consumista, che ci inchiodano a un sistema tossico spogliato dal valore della vita. Il bosco, è diventato così un rifugio. Le campagne, sono state scelte da chi desiderava sentirsi libero di mangiare sano, coltivare da solo gli ortaggi, evitare i pesticidi con cui le multinazionali irrorano i campi industriali, scegliere come curarsi, lavorare per vivere bene e non vivere esclusivamente per lavorare.

La “famiglia nel bosco” ha optato per questo modello, decidendo per i propri figli qualcosa di più vicino alle radici della terra in cui riscoprire l’amore per la famiglia, lo stare a tavola senza la TV accesa, il camminare tra le foglie per cercare la legna in un’atmosfera romantica, dove il focolare e l’amore prevalgono sulle mode e apparenze. Ecco perché, se è vero che probabilmente questa famiglia di un aiuto ha bisogno dal punto di vista di una maggiore socialità, non vista come invasione della loro privacy ma facendogli comprendere che è possibile, con tre bimbi piccoli al seguito, creare un canale di comunicazione rapido per ogni evenienza, tra il bosco e il Paese, oltre che proporre escamotage per rafforzare la casetta nel bosco in caso di emergenze, dall’altro lato, la misura drastica di sottrarre i bimbi ai genitori e al focolare, diventa incomprensibile in assenza di elementi di rischio immediati o intollerabili. Di contro, è possibile osservare che i due genitori non hanno mai tagliato completamente il cordone ombelicale con la società. Frequentano persone che, nei dintorni (neo-rurali, una trentina di famiglie sparpagliate in quel territorio) condividono quel modello di vita, anche se, probabilmente, insegnare ai bambini che esiste qualcosa di diverso che non hai scelto ma con cui non devi avere terrore di confrontarti, può facilitare il confronto con gli altri. Tanto alla fine, se vivi i giorni della tua vita nel bosco e qualche volta entri in contatto col mondo esterno, non sarà quel contatto a disintegrare tutto il tuo modello. L’utilizzo di internet – e non del cellulare – della coppia di genitori, è quel ramo che non hanno voluto tagliare, ma in cui, come fanno tanti adulti di oggi, essi condividono la loro vita e le fotografie assieme ai bambini, o dei bambini che giocano con gli animali immersi nel verde e tra gli alberi secolari. La nudità e la leggerezza del vivere, unite alla fatica del provvedere a cercarsi il cibo o la legna da ardere, si scontrano con l’uso della rete virtuale in cui generalmente, il bambino viene strumentalizzato per il business, molto spesso, degli stessi genitori che propongono contenuti della prole. Nel caso della famiglia nel bosco è un invito per chi vorrebbe vivere seguendo un modello di vita più sano per i propri figli. Nel caso di molte famiglie di oggi, è un invito alle apparenze, a comprare oggetti inutili e modaioli utilizzando i bambini come attrazione per comprarli. Altre volte, il messaggio è univoco : i figli sono gioia.
La condivisione tramite internet, il fatto di non aver rinunciato completamente a un modello espressivo, è il segnale della famiglia nel bosco per riappacificarsi con il mondo che hanno lasciato, creare una continuità per costruire una società migliore. Il fatto che questo segnale è stato colto da gran parte di chi continua a vivere in un modello moderno di civiltà progressista, sempre più incapace di emozionarsi ed amare, è la dimostrazione che c’è voglia di integrazione, cambiamento: ci si rende conto di come vivere nel bosco scegliendo di isolarsi da un mondo troppo violento, potrebbe essere un input da emulare o un modello da proporre nelle scuole delle città, senza demonizzarlo. Il fatto che ci si predisponga a voler aiutare la famiglia nel bosco per quelle migliorie necessarie, secondo i giudici, a garantire la sicurezza dei bambini cercando di non stravolgere il modello di vita e lasciandolo così com’è senza invaderlo, è un segno di solidarietà civile. Laddove per una istituzione, sembra più una rivendicazione del proprio controllo sul cittadino, che è sfuggito ad esso.
Non possiamo al momento certificare che il Tribunale dei minori ha agito con cattive intenzioni o per un “accentramento di potere“. È possibile davvero che ci si sia allarmati per l’incidente occorso, e che, si sia davvero pensato a una cattiva gestione familiare di questi bambini. O forse, è una intuizione giusta e sbaglia chi pensa che non è il caso di preoccuparsi. Il tempo ci dirà cosa si richiede esattamente a questi genitori, quale dinamica ha provocato la scelta dei giudici, se è accaduto per via di una richiesta di garanzia di sicurezza per i minori legata ai principi sanciti nella Costituzione, o piuttosto si tratta di una pretesa a rinunciare alla libertà di scelta per allinearsi a regole con alla base il controllo sociale. Il caos mediatico rischia di alimentare la “politicizzazione” della storia di questa famiglia. La propaganda dei politici è già servita in tavola: hanno cominciato a marciare con gli slogan da campagna elettorale. Non ci si riferisce, ovviamente, all’intervento del Ministero della Giustizia, ma ai promo di funzionari e politici che, da destra a sinistra, urlano chi contro i giudici e chi in loro favore, dimenticando i bambini e che, proprio i governi moderni, lavorano oggi per spopolare le campagne, desertificare le periferie, spingere le persone a vivere più vicine a quel tessuto che trasuda tossicità. Sembra così strano che adesso, riescano a preoccuparsi di difendere una casa nel bosco, laddove stanno distruggendo tutte le altre per i progetti eolici, solari, interessi multinazionali.
Senza conflitto di interesse, invece, è il parere dei professionisti che guardano il bene dei più piccoli. Secondo la d.ssa Roberta Bruzzone è necessaria una crasi tra due esigenze che non vanno sottovalutate, ovvero, la tutela dei minori e il rispetto per lo stile di vita altrui, diverso da quello allineato. Secondo l’esperta criminologa che ha posato gli occhi su questa storia, non è possibile determinare che il modello di vita scelto da questi genitori è sbagliato rispetto a quello usuale, pieno di criticità, con cui oggi dobbiamo fare i conti:
“Ci sono elementi incontestabili:
-La coppia vive in un casolare senza utenze e in condizioni abitative che i servizi sociali e magistrati definiscono incompatibili con una crescita serena dei minori. I bambini non frequentavano una scuola ordinaria, e l’homeschooling invocato, pur dichiarato, è stato considerato non adeguatamente autorizzato. C’è stato un episodio grave ossia un’intossicazione da funghi che ha coinvolto i minori, segnale di vulnerabilità e rischio concreto. Da questo punto di vista, la decisione del Tribunale si fonda su un imperativo etico e giuridico: la tutela del minore, quando si ravvisano condizioni che possano pregiudicare i diritti fondamentali (in primis quello alla salute, all’istruzione, alla socializzazione) e alla protezione.”
Roberta Bruzzone osserva la vicenda anche da un’angolazione diversa e cioè, aggiunge:
“La scelta di uno stile di vita alternativo, isolato, coincide con uno stile genitoriale che privilegia la natura, la semplicità, la libertà dal sistema moderno. Non per forza indice di negligenza, ma certamente di forte divergenza dal modello normativo. Quando la differenza diventa stigmatizzazione, e la stigmatizzazione diventa esclusione, allora il rischio è quello che si configuri non solo come “tutela necessaria” ma come pedagogia della normalità…cioè imporre al bambino un modello piatto perché è il modello sociale prevalente, trascurando che la diversità esiste e andrebbe gestita con equilibrio. Possiamo davvero affermare che adeguarsi al sistema sia sempre la risposta migliore? In un’epoca in cui i bambini “socializzati”, “normali”, immersi nella tecnologia e nel ritmo frenetico del mondo moderno, soffrono spesso di ansia, dipendenze, fragilità relazionali, vale la pena domandarsi se la “via canonica” sia così esente da criticità. Ecco perché io prendo posizione. Sì, critico in modo convinto l’idea che la tutela dei minori si riduca esclusivamente al rientro forzato nella “normalità”. Allo stesso tempo, ritengo necessario l’intervento dello Stato quando emergono rischi oggettivi e non solo “diversi stili di vita”. Credo che il vero nodo psicologico sia questa tensione tra proteggere i bambini senza distruggere il senso di identità familiare e custodire la diversità senza abdicarne alla responsabilità educativa.”
Per chi nel dibattito nomina altri tipi di ‘diversità abitative‘ come quelle dei rom su cui lo Stato interviene poco e nulla, siamo fuori tema, poiché non è questo l’argomento del giorno. Si tratta della “frattura estrema” tra “libertà” e “imposizione“. Non di risolvere i problemi di nuclei di popolazioni ataviche che, pur vivendo in modo diverso come i gruppi rom, non si sono mai slegate realmente dalla società ma la frequentano quotidianamente, in gruppi organizzati; si parla di un modello di vita più salutare dove tuttavia, un bambino ha necessità che il genitore metta al primo posto la sua sicurezza e al secondo posto la scelta di vita personale, trovando l’equilibrio perfetto e possibile, tra le due cose.
Si tratta di famiglie che, da un certo momento in poi hanno deciso che la vita è un valore troppo grande per non insegnarlo ai figli regalandogli un modello più pulito, cristallino, meno competitivo e più collaborativo, senza nella testa la pubblicità di chi specula manipolando i nostri orientamenti. Ecco perché questo caso è diverso. Le nostre paure tuttavia, universalmente le dobbiamo superare, ed ecco perché, la famiglia nel bosco è stata chiamata ad affrontarle, a capire che non si può “vivere nella paura per sempre”. La pace è prima di tutto con se stessi, armonizzare è una priorità.
“Non dite alla vecchietta nel bosco che fuori c’è la guerra, poiché se ella sa che esiste, la guerra potrebbe arrivare da lei, metterla alla prova.“
È quel che è successo. Due genitori che hanno superato i loro traumi rifugiandosi nella natura, dopo una gravidanza difficile e un incidente automobilistico, pensano che potranno crescere nella natura e nella semplicità anche i loro bambini. Hanno conosciuto un mondo da cui sono fuggiti, e nel bosco ritrovano tranquillità. Ma sanno, di non aver risolto la frattura col mondo esterno e quello, torna a bussare in seguito a una disattenzione per cui improvvisamente essi si trovano isolati: i gemellini corrono a cercare aiuto, ed un ospedale pubblico è pronto ad accoglierli per curarli. Non si può scappare per sempre. È necessario fare i conti con i propri demoni interiori. Cosa potrebbe insegnare questa storia? Se non la si manipola troppo, può essere un modo per aiutarsi. La violenza della nostra società, i giovani fuori controllo, i genitori che non sono più capaci di contenere i capricci dei propri figli, i suicidi, gli omicidi in famiglia, i cosiddetti femminicidi, le aggressioni delle madri verso i figli o verso i propri compagni, la follia che dilaga… queste deviazioni e perversioni ci impongono una decisione difficile: cambiare rotta. Il modello della famiglia nel bosco, benché abbiano dovuto recentemente fare i conti con una propria fragilità dove li si avvisa di non estraniarsi troppo dagli altri, potrebbe offrire ottimi spunti. A esempio, nelle scuole in città, per i più piccoli ma anche per gli adolescenti, dove si cerca di educare al rispetto per smorzare le violenze, si potrebbero creare dei momenti in mezzo alla natura in cui condividersi, figli e genitori, per sanare i valori perduti, la fiducia reciproca, correre meno dietro alle apparenze e di più verso ciò che è importante: il focolare, la serenità che distrugge ogni violenza.
In attesa di conoscere i dettagli cartacei e documentali di questa storia, la speranza è che i tre bambini tornino a casa, una casa più sicura di prima grazie all’aiuto di tutti, ma senza togliere a questa famiglia il sogno di un modello più sano, il ritorno alla natura che non tradisce ma ci salva.
Se invece si tratta di imporsi soffocando la libertà di vivere come si vuole, in spazi liberi, se si tratta di uno stupro delle libertà individuali, la frattura con le istituzioni sarà allora totale, poiché tutti si schiereranno con questa famiglia e dalla parte del bosco.
26 novembre 2025 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv
