DONALD TRUMP DISTRUGGE IL POMO DELLA DISCORDIA, L’IRAN RISPONDE BOMBARDANDO LE BASI MILITARI AMERICANE, ISRAELE ALL’ANGOLO. MA LA PACE ETERNA E’ LONTANA

DONALD TRUMP 'DISTRUGGE' IL POMO DELLA DISCORDIA, L'IRAN RISPONDE BOMBARDANDO LE BASI MILITARI AMERICANE, ISRAELE ALL'ANGOLO. MA LA PACE ETERNA E' LONTANA

di Paola Mora

Nella giornata di lunedì 23 giugno 2025, la Repubblica Islamica dell’Iran ha preso di mira la base aerea statunitense di Al-Udeid in Qatar con un attacco missilistico nell’ambito dell’Operazione Basharat al-Fatah (Buona Novella della Vittoria). Questa base, come osserva un comunicato dell’IRGC iraniano, è il quartier generale dell’Aeronautica Militare e la più grande risorsa strategica dell’esercito statunitense nella regione dell’Asia occidentale. È un attacco che arriva in risposta alla violazione statunitense del diritto internazionale, dopo che, il presidente Donald Trump, scavalcando il Congresso, ha dato ordine nei giorni precedenti di colpire i siti nucleari dell’Iran, ottenendo risultati tuttavia discutibili. La misurata ritorsione iraniana che ne è conseguita, cui Trump ha risposto anche ringraziando la leadership iraniana di aver preannunciato al Qatar l’attacco missilistico con anticipo, permettendo la messa in sicurezza del personale militare, è stata un atto simbolico, volto a fare comprendere la reticenza dell’Iran ad arrendersi o a trattare sulla materia nucleare sotto ultimatum, considerato che, negoziati indiretti con gli USA, stavano avvenendo pacificamente prima di venire sabotati e interrotti dall’aggressione missilistica israeliana su Teheran, e attentati sionisti in cui sono rimasti uccisi funzionari e scienziati nucleari iraniani, oltre che la popolazione civile e infrastrutture strategiche del Paese. Quindi l’Iran, è dovuto intervenire per difendere la propria sovranità e sicurezza. Trump ha annunciato di non voler rispondere all’attacco iraniano sulle basi militari statunitensi, in un atto di remissione e aprendo un varco per l’inizio di un nuovo dialogo, concertato che, l’uso della forza non è ciò che cerca la leadership iraniana : fino ad ora, e non si sa nel futuro, il governo di Teheran ha coltivato l’idea del nucleare a fini civili e pacifici, accarezzando anche una proposta da parte dell’amica Russia, che si è offerta di provvedere allo smaltimento del materiale nucleare arricchito in eccesso per sostenere la praticità di un accordo equo, sotto la supervisione anche dell’AIEA (con cui i rapporti si sono incrinati, e sono stati temporaneamente sospesi). Ma la cosa più interessante e non scontata, è che l’Iran ha sfoggiato il suo attacco alla base militare statunitense in Qatar, solo dopo una consultazione del Ministro degli Esteri iraniano Abbas Aragchi con il Presidente Vladimir Putin, in una visita già programmata da tempo ma resa più urgente a causa dell’escalation Israele – USA – Iran. È quindi ovvio, che dietro le quinte, a prescindere dalle condanne e promo pubblici, la decisione è stata quella di provare a praticare l’attenuazione delle tensioni che giova temporaneamente a tutti gli attori. Non ultimo, Israele, cui serviva una via di scampo personale, e una giustificazione pubblica per poter riprendere fiato, dato che, il confronto con l’Iran si stava trasformando in una sconfitta clamorosa per Benjamin Netanyahu, il quale, non a caso, ha dovuto chiamare in soccorso Donald Trump per evitare il tracollo di Tel Aviv (laddove Teheran ha rifiutato l’aiuto militare di Vladimir Putin).  E Trump, ha bombardato i siti nucleari iraniani, in una operazione ombrello, che un po’ ha fatto ridere per i risultati se non fosse per il fatto, che l’occidente si è ancora una volta insozzato di una pesante violazione,  programmando per bersaglio, aree nevralgiche di stoccaggio e produzione di materiale arricchito per l’energia nucleare. Prima della visita in Russia, sia il presidente iraniano Pezeskian che il suo Ministro degli esteri Abbas Araghchi – oltre che la Guida suprema Ali Khamenei – hanno comunicato in momenti diversi le proprie parole alla Nazione, condannando le aggressioni israeliane e statunitensi. Ed è in occasione di questi promettenti discorsi, che l’acuto e disponibile Ministro Abbas ha avvisato della sua visita a Mosca, per parlare dell’escalation e di come risolverla con l’amica Russia con cui, ha svelato, si “consultano sempre“. Solo dopo l’incontro con Vladimir Putin, l’Iran ha avviato la sua operazione militare in risposta ai bombardamenti degli Stati Uniti, senza forzare troppo la mano, moderando l’attacco, e dando un segnale di forza e di ricerca della diplomazia al medesimo tempo. Sfida, che Trump ha accolto con intelligenza, avvisando di non avere intenzione di avviare una seconda ondata di bombardamenti contro Teheran.


Se il leader sionista Benjamin Nethanyau ha avuto illusione di avere accanto l’America in una guerra diretta contro l’Iran, il fiammifero si è spento subito. Ma cosa si sono detti Vladimir Putin e il Ministro degli esteri iraniano? Il Presidente russo ha salutato il suo ospite, osservando come la visita a Mosca avviene in un periodo difficile, caratterizzato da una significativa escalation delle tensioni sia nella regione che nei dintorni dell’Iran e ribadendo che la posizione della Russia sugli attuali sviluppi è ben nota, chiaramente espressa dal Ministero degli Affari Esteri russo, riflettendosi nella posizione assunta presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite:

L’atto di aggressione contro l’Iran, del tutto immotivato, è privo di fondamento o giustificazione. La Russia intrattiene relazioni di lunga data, forti e affidabili con l’Iran e ci impegniamo a sostenere il popolo iraniano attraverso i nostri continui sforzi“, ha chiarito Putin, “come sa, ho recentemente avuto conversazioni telefoniche con il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump; il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu; il Presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed Al Nahyan; e il Presidente del suo Paese, Masoud Pezeshkian. Sono anche a conoscenza del fatto che ha appena avuto incontri con i ministri degli Esteri in Europa. Sono molto lieto di darvi il benvenuto oggi a Mosca. La vostra visita ci offre un’importante opportunità per discutere approfonditamente di queste delicate questioni e per esplorare i modi in cui potremmo collaborare per gestire la situazione attuale. Vi prego di porgere i miei più cordiali saluti e i miei migliori auguri sia al Presidente Masoud Pezeshkian che alla Guida Suprema Ali Khamenei”.

Il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, ha risposto di essere lieto di avere l’opportunità di incontrare Putin nel giorno corrente:

Come avete giustamente osservato, questo incontro si svolge in un momento in cui le crisi e le sfide nella nostra regione continuano ad aggravarsi, e, come avete accennato, condividiamo relazioni strette e amichevoli e, negli ultimi anni, i nostri legami bilaterali hanno assunto un carattere strategico. Manteniamo consultazioni regolari con i nostri colleghi russi su una vasta gamma di questioni di sicurezza globale. Nel campo del programma nucleare iraniano, la Federazione Russa è stata un partner prezioso, costruendo la centrale nucleare di Bushehr e supportandoci in questo settore, anche nel contesto del raggiungimento di accordi nucleari. La Russia ha svolto un ruolo costruttivo nell’aiutarci a garantire intese importanti. Tuttavia, come ben sapete, il livello di escalation continua a crescere di giorno in giorno. Purtroppo, siamo stati attaccati, non solo da Israele, ma anche dagli Stati Uniti, che hanno scelto di colpire le nostre strutture. Questi atti di aggressione da parte di Israele e degli Stati Uniti sono del tutto illegittimi e violano il diritto internazionale e le norme stabilite. Ora stiamo difendendo la nostra sovranità e il nostro Paese, e la nostra difesa è pienamente legittima.
Siamo grati ai nostri colleghi e amici russi per la loro posizione di principio e per la loro ferma condanna di questi atti di aggressione. Oggi, la Russia è dalla parte giusta della storia e del diritto internazionale. La Guida Suprema e il Presidente Pezeshkian mi hanno anche già chiesto di trasmettervi i loro più cordiali saluti.”

Non ci sono approfondimenti disponibili sui media, per esaudire quali altri argomenti i due leader possono avere ulteriormente affrontato in questa visita, tuttavia, è dopo l’incontro che Teheran decide di rispondere al bombardamento statunitense ai siti nucleari, colpendo la base militare USA in Qatar, provocando, tra l’altro, disagi generali in tutta quell’area del Medio Oriente, per via della chiusura dei voli civili.

Una risposta soft, quella iraniana, dimostrativa del rifiuto al linguaggio della forza statunitense, che non necessariamente Trump si aspettava avvenisse, fermo restando che l’Iran ha avvisato la controparte in anticipo, sull’intenzione dell’imminente risposta. Una risposta che Trump ha incassato senza poi azzardarsi a ipotizzare uno scontro più duro degli USA contro l’Iran per l’affronto subìto, come in precedenza aveva invece minacciato. Gli USA si sono limitati a osservare la testardaggine del nemico, mentre, nella mattinata di lunedì, erano proseguiti anche bombardamenti iraniani su Haifa, Be’er Shiba. Haifa era il sogno di Israele di un corridoio di transito nel Mediterraneo. Gli attacchi missilistici e con droni dell’Iran su Haifa hanno inferto un colpo senza precedenti alle infrastrutture vitali del regime israeliano, isolando di fatto il porto strategico dal commercio internazionale. Il progetto del Corridoio arabo-mediterraneo (IMEC), che avrebbe dovuto trasformare il porto di Haifa in un hub di transito tra Asia, Europa e Africa, è apparentemente crollato, per ora, a causa degli attacchi.  Proprio a conclusione della forte azione di Teheran, Israele decide un aggressione violenta nella tarda serata di lunedì 23 giugno, e, mentre l’Iran è occupato a difendersi, arriva il famigerato annuncio di Donald Trump, il quale avvisa di come Qatar, Tel Aviv e Teheran abbiano raggiunto un certo accordo per il cessate il fuoco. Tuttavia, il Ministro degli Esteri iraniano chiarirà… di non saperne nulla, che non c’è stata mediazione; Bibi Nethanyau rifiuterà qualsiasi commento, fino a qualche ora successiva alla tregua, quando ammetterà di aver accettato una proposta per la fine temporanea delle ostilità. È utile notare che la Guerra dei 12 giorni – come è stata soprannominata – è cominciata per la volontà israeliana di sabotare gli accordi sul nucleare tra USA e Iran che avrebbero pacificato l’area, togliendo a Israele il presupposto immediato di una ulteriore espansione territoriale in Medio oriente e in chiave anti-iraniana. Insomma, Bibi dovrà attendere. Ancora una volta, Trump e Netanyahu non si sono trovati d’accordo sul da farsi e hanno dovuto venirsi incontro, perché Israele, per vincere contro l’Iran e avviare con questa dinamica un processo di espansione certo, aveva bisogno dell’effettiva scesa in guerra dell’America, il che, significava molto più che un bombardamento ai soli siti nucleari del nemico. Ma gli USA non possono permetterselo per il momento, sprecherebbero risorse necessarie per un obiettivo ben più importante, che riguarda la rivalità geopolitica con la Cina. Non è da quel lato che conviene agire, secondo Trump. Anche perché, Israele ha dimostrato tutta la sua debolezza durante la prima parte del confronto con l’Iran al punto che, l’IDF stava per essere schiacciato dai missili della ‘Promessa‘ iraniana. Ciò, nonostante i problemi dell’esercito di Teheran coi sistemi di difesa aerea sguarniti, troppo pochi per coprire lo Stato iraniano fortemente esteso. Al 17 giugno 2025 infatti, l’aviazione israeliana aveva condotto una serie di attacchi aerei contro i lanciatori di missili balistici iraniani nell’Iran occidentale, secondo quanto riferito dall’IDF. L’esercito aveva affermato che i caccia erano riusciti a colpire decine di lanciatori di missili balistici e altre strutture. L’IDF dichiarava inoltre di aver colpito i sistemi di difesa aerea iraniani e i siti radar nell’Iran occidentale.

Secondo gli analisti, l’Iran è riuscito tuttavia a spostare parte dei lanciatori, in sostituzione del gran numero distrutto dagli attacchi israeliani, solo perché Tel Aviv non ha operato in profondità sull’Iran. Ciò ha risparmiato parte delle attrezzature più nell’entroterra che si sono potute sfruttare per spingere gli attacchi missilistici contro Israele, proseguire a difendersi per quanto non in modo ottimale. Al contrario, a Israele sono mancati i missili e, l’Iron Dome stesso è diventato un groviera, non appena l’Iran ha deciso di sperimentare missili mai sfoggiati prima, che hanno procurato ferite profonde ai sionisti e alle loro strutture.

Inoltre, l’Iran ha aumentato la sorveglianza interna per distruggere le cellule terroristiche, i sabotatori, scovare i furgoni che trasportavano droni nemici da assemblare e lanciare “da vicino” , contro edifici o strutture ospitanti funzionari e scienziati iraniani per assassinarli. Di fronte alla difficoltà tangibile, Israele per sopravvivere aveva bisogno di fermarsi, di una tregua, appunto, durante la quale riorganizzarsi. Ma era difficile fare capire ai sionisti che gli USA non sarebbero potuti scendere in guerra, e che senza l’alt erano spacciati. Il bombardamento dei siti nucleari è stato un escamotage per tutti, compresa l’opinione pubblica, per far credere di avere distrutto il programma nucleare iraniano, al medesimo tempo un’occasione per rimettere la palla al centro, sul tavolo precario della diplomazia.
Trump forse si assicura il Nobel per la pace. Se analizziamo il suo danno all’Iran, non è stata registrata una fuoriuscita di radiazioni significativa se non forse, minimamente, a Natanz – come dichiarato dall’AIEA.

Se gli USA avessero provocato una implosione nucleare importante, sarebbero stati condannati per il crimine di guerra, e non solo rimproverati di violazione del diritto internazionale per aver preso di mira siti nucleari sensibili! Il Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi, ha dichiarato che gli ispettori dell’organizzazione hanno riscontrato danni all’impianto nucleare di Natanz, dopo l’attacco statunitense. Ha ammesso che gli attacchi potrebbero aver causato una contaminazione radioattiva locale.

A Natanz, l’AIEA ha individuato due fori di perforazione statunitensi sopra i capannoni sotterranei utilizzati per l’arricchimento e lo stoccaggio dell’uranio. Sulla base delle sue conoscenze sul contenuto di questi capannoni, l’AIEA ritiene che il foro potrebbe aver causato una contaminazione localizzata e un rischio chimico“,

ha dichiarato il rappresentante dell’AIEA, anche se non è chiaro se sono riusciti ad accertarlo. A Fordow, gli attacchi hanno preso di mira invece, le strade di accesso all’impianto e uno dei suoi ingressi. Capite bene che questo, è ben diverso da una distruzione completa dei siti. Si tratta solo di aver reso impraticabili gli accessi/uscite. Donald Trump, dopo la sua azione, ha tentato di fare capire che “la questione è chiusa“, perché distrutto il potenziale iraniano che dava adito alle paure per la creazione di un’arma nucleare, anche Israele non aveva più motivo di attaccare, o l’Iran di rispondere e difendersi – essendosi risolta la controversia per cui i due Stati si stavano azzannando da 12 giorni. Via il nucleare, tutto finito. Distruggi il pomo della discordia, e non avranno di che litigare! Secondo Trump. Peccato che il nucleare è sempre stata solo una scusa per l’Occidente; che l’Iran può comunque rimettere in moto il progetto; che l’urgenza per Trump non era la pace, ma togliere Israele da sotto il fuoco nemico senza farla assomigliare a una sconfitta o resa del sionismo. Poiché tuttavia, l’Iran non ha voluto appoggiare il gioco in tutto, decidendo di rispondere a tono e puntando i missili sulle basi militari statunitensi, Trump si è probabilmente giocato la carta di un cessate il fuoco unilaterale spacciato per multilaterale, con l’Iran che insiste a spiegare come nessuna mediazione è avvenuta. In base a ciò, e dopo consultazioni tra Bibi e Trump, Israele ha cessato il fuoco, di conseguenza anche l’Iran, con Netanyahu che ha sostenuto di aver accettato infine la tregua, senza chiarire alcunché su una presunta mediazione e riservandosi di proseguire lo scontro a fuoco in un ipotetico futuro. Ora, Trump chiede accordi con Putin , finalmente potrebbero incontrarsi. Anche loro, parlano in codice dietro le quinte.  Il partito repubblicano cerca intanto di convincere Teheran che non esiste un loro piano B per l’attuazione di un ‘regime change‘ in Iran, ma è davvero così? In realtà, l’opzione più favorevole agli Usa è un cambio di regime e la caduta dell’Ayatollah per eleggere una pedina filo-americana, un rigurgito storico, ma può essere raggiunto solo movimentando tutta una serie di eventi sui confini iraniani, che, per ora, sembrano ancora acerbi per questo, ma non troppo. E vissero tutti felici e contenti. Fino al Nuovo Ordine Mondiale.

24 giugno 2025 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv

 

PAUSA CAFFE’

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