CASO VIDEOCOLOR - AMIANTO: IL NEMICO INVISIBILE SOLO PER I GOVERNANTI E I DATORI DI LAVORO
di Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
In Italia è più facile parlare di qualunque tema, dalle polemiche calcistiche all’ennesimo dibattito sterile sui social, che affrontare con rigore la questione dell’amianto, il vero convitato di pietra del nostro Paese. Ogni volta che spiego di occuparmi della tutela giuridica delle vittime esposte alle fibre killer nell’esercizio della mia professione di avvocato, mi trovo davanti sguardi smarriti, volti increduli, interlocutori che sembrano scoprire solo in quell’istante l’esistenza del più grande disastro sanitario silenzioso del nostro territorio. Come abbiamo contezza da decenni che l’amianto rappresenta un problema enorme, strutturale, sappiamo anche che i media continuano a ignorarlo o a trattarlo come una nota a margine.
Tutto ciò è il risultato di un’intera collettività anestetizzata, incapace di percepire che in Italia giacciono ancora (stime al ribasso) 40 milioni di tonnellate di amianto disseminate ovunque: nelle scuole (oltre cento solo nella capitale), negli ospedali, nelle caserme, nei capannoni industriali, persino in alcuni edifici giudiziari. L’amianto è il materiale più “democratico” che abbiamo mai prodotto, perché non distingue tra ricchi e poveri, professionisti e operai, dirigenti e studenti.

Se è presente in un edificio, pubblico o privato, chiunque può respirarlo, ammalarsi, morire e nonostante ciò, questo veleno quotidiano continua a insinuarsi nella nostra aria e nella nostra burocrazia senza che nessun governo abbia mai avuto il coraggio, o la volontà, di affrontare seriamente il nodo della bonifica. Parola tabú, questa e troppo costosa, troppo impegnativa, troppo poco utile ai cicli elettorali brevi di una politica che pensa a sopravvivere e non a costruire. Cosi siamo arrivati perfino alla follia di ignorare l’opportunità di destinare una parte dei fondi del PNRR (decine di miliardi, cifre mai viste) a una strategia nazionale di bonifica. La salute pubblica? Un dettaglio sacrificabile, eppure proprio la salute è l’unico diritto considerato “inviolabile” dalla nostra Costituzione, all’art. 32, ma evidentemente, per lo Stato italiano, l’amianto può violarlo impunemente. In questo panorama sconfortante, ogni sentenza che riconosce il danno subito da un lavoratore esposto rappresenta non solo un atto di giustizia, ma uno schiaffo micidiale all’indifferenza istituzionale.
Pertanto, la sentenza del Tribunale di Roma sul caso Videocolor di Anagni è uno di quegli schiaffi che risuonano forte, destinati a lasciare il segno.

Infatti, con una decisione passata in giudicato e sfavorevole all’INAIL (la controparte resistente nel medesimo giudizio), il giudice ha riconosciuto in via definitiva il nesso tra l’attività lavorativa di un ex dipendente e la patologia asbesto-correlata che lo ha colpito. Invero, si tratta di un accertamento limpido: sedici anni di esposizione qualificata alle fibre, tra il 1990 e il 2006, in reparti altamente contaminati. Se non fosse tragico, sarebbe grottesco dover ricordare che l’amianto in Italia è vietato dal 1992, eppure, quattordici anni dopo il divieto, si continuava a lavorare nelle stesse condizioni che avrebbero stroncato la vita di troppi lavoratori ignari delle condizioni del loro ambiente lavorativo. Il verdetto emerso dal Foro romano ha portato al rilascio del certificato ufficiale di esposizione e alla conseguente maggiorazione contributiva di otto anni, aprendo la via al prepensionamento del lavoratore. In sostanza, il tutto va tradotto non solo in giustizia morale, ma pure in riconoscimento giuridico, previdenziale, umano, ossia in una riparazione minima per anni di rischi che qualcuno ha preferito ignorare e ciò che più scuote è l’impatto collettivo della sentenza. Perché se un lavoratore ottiene il riconoscimento, centinaia di altri potrebbero essere nelle stesse condizioni. La decisione crea un precedente solido, un varco che potrebbe trasformarsi in una valanga di ricorsi, perché chi ha respirato la stessa aria, toccato gli stessi materiali, camminato negli stessi reparti contaminati, ora ha uno strumento per far valere diritti finora negati. Per inciso, non si tratta di rivendicazioni speculative, bensì si tratta di vite reali, di ex dipendenti rimasti senza lavoro dopo la dismissione dello stabilimento, spesso dimenticati da tutti. La sentenza getta luce su una verità che in molti hanno tentato di nascondere, ovvero il polo industriale di Anagni è stato, per decenni, un luogo di esposizione rilevante alle fibre killer.
Le bonifiche? Ritardate, incomplete, a volte semplicemente inesistenti e quel ritardo pesa oggi come una condanna. Le patologie asbesto-correlate hanno tempi lunghi, silenziosi, ma quando arrivano non perdonano, perciò la decisione del Tribunale di Roma diventa così un prisma attraverso cui osservare un intero Paese intrappolato nelle stesse logiche, con industrie dismesse ma mai realmente messe in sicurezza, siti contaminati scoperti troppo tardi, controlli lacunosi, responsabilità che rimbalzano tra enti pubblici e privati come in una catena di irresponsabilità senza alcuna soluzione di continuità. Ogni sentenza che riconosce un’esposizione, una responsabilità, un danno, è una dichiarazione chiara, quella secondo la quale qualcuno sapeva, qualcuno non ha agito, qualcuno ha preferito il profitto o l’inerzia alla tutela delle persone. Oggi la domanda inevitabile è: quanti altri casi come Videocolor emergeranno? Quanti ricorsi arriveranno sulle scrivanie dell’INAIL? Quanti lavoratori scopriranno che avrebbero avuto diritto a un riconoscimento anni fa? Le risposte, probabilmente, faranno tremare più di un’istituzione, in quanto il problema. non riguarda un singolo stabilimento, ma un modello di gestione del rischio industriale che per decenni ha sacrificato la salute dei lavoratori sull’altare della speculazione produttiva.
La sentenza del Tribunale di Roma non è solo un punto di arrivo, ma rappresenta anche un punto di partenza, non può non essere che un messaggio inequivocabile alle imprese, agli enti di controllo, ai ministeri, secondo il quale l’amianto non è un ricordo del passato, ma un’emergenza presente, viva, pericolosa. In finale, le vittime di amianto non possono essere considerate numeri, ma devono essere tutelate come ferite ancora aperte nel corpo sociale e industriale italiano e queste ferite gravi chiedono e pretendono ascolto, risposte e responsabilità, ma soprattutto Giustizia.

In foto: Avv.Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
7 dicembre 2025 – FABRIZIO VALERIO BONANNI SARACENO – Qui Radio Londra Tv
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