LO SCANDALO PREGLIASCO SOTTO PAGA DEI BIG PHARMA PER SPONSORIZZARE I VACCINI ANTI COVID
Avv.to Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Nel silenzio quasi totale dei grandi mezzi d’informazione, è avvenuto in Parlamento un episodio che avrebbe meritato l’apertura di tutti i notiziari e un serio dibattito pubblico sul rapporto tra scienza, potere e interessi economici. Durante la sua audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia da Covid-19, il professor Fabrizio Pregliasco, per anni volto di riferimento della comunicazione scientifica televisiva, ha ammesso di aver ricevuto finanziamenti diretti da numerose multinazionali farmaceutiche. Secondo quanto dichiarato sotto giuramento, le società coinvolte sarebbero tra le più grandi al mondo: GSK, Sequirus, Bayer, Janssen, Sanofi, Bausch & Lomb, Lilly, Pfizer, Moderna, Novavax, Procter & Gamble. Nomi che coincidono con le stesse aziende che, durante la pandemia, hanno prodotto vaccini o tratto enormi benefici economici dall’emergenza sanitaria globale. L’ammissione, resa in sede istituzionale, avrebbe dovuto aprire un confronto pubblico sull’indipendenza di chi, nel pieno della crisi, ha orientato decisioni politiche, comunicazione e percezione collettiva. Invece, la notizia è rimasta confinata a brevi trafiletti su poche testate non mainstream, mentre i principali media hanno preferito ignorarla. Questo silenzio solleva interrogativi inquietanti, perché una notizia di tale rilievo non trova spazio nei telegiornali o nelle prime pagine dei quotidiani nazionali. Chi decide, oggi, cosa meríti di essere raccontato?
In un Paese che si definisce democratico, il diritto dei cittadini a essere informati dovrebbe prevalere sulla convenienza politica o economica di tacere, l’omissione, in questo caso, pesa quanto una menzogna.
Nel corso dell’audizione, Pregliasco ha difeso la legittimità dei finanziamenti ricevuti, sostenendo che “tutta la ricerca biomedica si finanzia anche attraverso collaborazioni con aziende private” e arrivando persino a dichiarare di essere “più indipendente di altri, perché ho ricevuto fondi da più soggetti”. Parole che hanno suscitato stupore e indignazione tra i membri della Commissione, a partire dal presidente Marco Lisei, che ha incalzato il virologo su questioni cruciali: il mancato aggiornamento del piano pandemico del 2006, l’uso dei Dpcm e la compressione delle libertà costituzionali durante l’emergenza.
La senatrice Antonella Zedda (Fdl) ha parlato apertamente di conflitto d’interessi, affermando che “chi riceve denaro dai produttori di farmaci non può dirsi terzo nel giudicare la questione vaccini“. Più cauta la reazione del Movimento 5 Stelle, che ha cercato di minimizzare l’impatto dell’ammissione chiedendo se i fondi fossero personali o destinati alla ricerca, ma la distinzione, come è stato osservato da diversi esperti, non elimina il problema. Infatti, la dipendenza economica da grandi gruppi industriali può comunque condizionare, anche inconsapevolmente, il giudizio di chi influenza decisioni pubbliche e politiche sanitarie. Il caso Pregliasco va oltre la figura del singolo, in quanto rappresenta il sintomo di un sistema scientifico sempre più intrecciato con l’industria farmaceutica, complice la carenza cronica di fondi pubblici e la crescente pressione sulla produttività accademica. In questo contesto, la linea di confine tra consulenza, collaborazione e condizionamento si è fatta sempre più sottile. Invero, durante la pandemia, tale commistione si è tradotta in una gestione centralizzata dell’informazione sanitaria, dove le voci critiche venivano marginalizzate e il dibattito ridotto a una contrapposizione binaria: “scienza” contro “negazionismo“. Una dinamica che ha trasformato la scienza da metodo di verifica e confronto in dogma incontestabile, svuotandone il valore epistemologico. Oggi, alla luce delle ammissioni emerse, il silenzio dei media appare ancora più grave, perché la mancanza di trasparenza che emerge da quanto finora esposto mina la fiducia collettiva nelle istituzioni e nei professionisti della salute pubblica.
Come osservano alcuni parlamentari, “la trasparenza non dovrebbe essere un’eccezione, ma la condizione minima della credibilità scientifica“. A ricordare la fragilità del pluralismo scientifico nel dibattito pandemico vi è anche il caso del premio Nobel Luc Montagnier, duramente attaccato per le sue posizioni critiche sui vaccini. Già il tribunale civile di Genova ha condannato l’infettivologo Matteo Bassetti a risarcire gli eredi di Montagnier per 6.000 euro, dopo le offese rivolte allo scienziato francese in un dibattito pubblico a Sutri. Un episodio che, accostato alle rivelazioni su Pregliasco, mostra quanto il confronto scientifico sia stato sostituito da scontro ideologico e delegittimazione personale. Mentre alcuni venivano esaltati come voci ufficiali della scienza, altri venivano messi al bando per le loro opinioni divergenti. II “caso Pregliasco” non è soltanto una questione personale, ma una prova della vulnerabilità del rapporto tra scienza, media e politica. La mancanza di copertura giornalistica di fronte a un’ammissione così rilevante non è casuale: riflette un conformismo informativo che riduce il dibattito pubblico a schemi binari, soffocando ogni riflessione critica. Pertanto, riaprire la discussione sulla trasparenza, sui conflitti d’interesse e sulla libertà di ricerca non significa mettere in dubbio la scienza, ma difenderne l’integrità. La fiducia dei cittadini si ricostruisce solo con la verità, non con il silenzio e in questo caso, tacere equivale a tradire il diritto all’informazione che è alla base stessa di una democrazia sana.
27 ottobre 2025 – Avv.to FABRIZIO VALERIO BONANNI SARACENO – Qui Radio Londra Tv
