ALTA TENSIONE TRA INDIA E PAKISTAN E RISCHIO DI UNA CATASTROFE NUCLEARE

ALTA TENSIONE TRA INDIA E PAKISTAN E RISCHIO DI UNA CATASTROFE NUCLEARE

di Anna Turletti - corrispondente Estero

In Asia si prospetta un nuovo spettro bellico. Andiamo per ordine e iniziamo ad analizzare la complessa e delicata situazione: partiamo dunque dai fatti. Il 22 aprile 2025, è stato sferrato a Pahalgam, nel Kashmir indiano, un attacco terroristico presumibilmente da un’organizzazione islamica
autonoma di origine pakistana (slegata ormai dal governo centrale, anche se conosciuta da quest’ultimo, che non riconosce invece la
legittimità del governo indiano nel Kashmir). Così riportano alcune fonti
dell’informazione mainstream. Questo attacco ha provocato la morte di 26 turisti Indu. Il gruppo militante “Fronte di Resistenza islamica“, legato a Lashkar-e-Taiba,
avrebbe rivendicato l’attacco.
Il 7 maggio scorso, in risposta a questo, l’India ha lanciato l’Operazione Sindoor, colpendo nove obiettivi in Pakistan e nel Kashmir pakistano, che secondo Nuova Delhi erano campi terroristici. Islamabad invece ha sostenuto che siano stati colpiti siti civili, tra cui
moschee e scuole, con almeno 31 morti e 57 feriti, tra cui bambini. Il Pakistan ha reagito abbattendo 5 presunti jet e droni indiani, per  altro di fabbricazione di Israele, nazione “vicina” all’India, con gli USA, mentre il Pakistan ha al momento rapporti migliori con la Cina. Entrambe le nazioni hanno lamentato vittime civili e militari.

In questa situazione critica e tesa, è grave, ma fondamentale, sottolineare che sia l’India sia il Pakistan detengono un notevole
arsenale nucleare di cui 170 testate nucleari appartengono all’India e addirittura 200 al Pakistan. L’elevata quantità di armi nucleari detenuta da entrambi i paesi fa pensare al peggio, ma fa anche riflettere sull’attuale strumentale
campagna mediatica dei paesi occidentali verso l’Iran, paese, che non ne possiede ancora, e viene accusato di voler creare e avere le proprie bombe atomiche: per questo viene costantemente messo alla gogna anche con il supporto dei media occidentali di tutto il mondo.  Se ci chiediamo perché entrambi i duellanti in gioco, India e Pakistan, possano possedere testate nucleari senza obiezioni delle grandi potenze, troviamo la risposta in una semplice e chiara affermazione fatta da Donald Trump, che ha dichiarato di essere dispiaciuto per questa crisi e di sperare in una “deescalation”, perché lui va “d’accordo con entrambi i paesi”. Tale l’affermazione sembra implicitamente indicare che i paesi in linea (o in affari, permettetemi) con gli Stati Uniti, in qualche modo possano avere l’atomica. Non a caso, Israele, paese base, amico e “il migliore investimento degli USA nel Medio Oriente”, come ammise un giovane Joe Biden negli anni settanta, può impunemente possedere 90 testate nucleari, o forse anche di più. Tornando alla presente crisi tra India-Pakistan, va fatto rilevare che:
l’organizzazione di resistenza islamica in questione, insieme ad altre simili, era nota al governo pakistano che in passato la utilizzava come strumento nell’ambito della “difesa”, ma poi con il tempo si è resa autonoma dalle autorità, instaurando rapporti stretti con l’Arabia Saudita, i paesi del Golfo e il network internazionale islamista; – la reazione dell’India nei confronti dell’attentato realizzato il 22 aprile scorso, da parte di quest’organizzazione di resistenza islamica, come riportato dal mainstream, appare e può essere considerata strumentalmente spropositata. Sembra, infatti, esistere una diffusa volontà globale e cioè quella di condannare l’islamismo, visto e inteso come unico male assoluto del mondo e pertanto la reazione militare indiana potrebbe essere proprio la “figlia” di un nuovo corso di politica estera, nata dal contesto internazionale dopo l’undici settembre 2001. Soprattutto tale reazione può incastonarsi nell’attuale conflitto tra Israele e Palestina, avvallando le strategie aggressive e invasive di Netanyahu, giustificandole, con il fatto che lo Stato di Palestina, per altro non riconosciuto dalla maggioranza dei paesi occidentali, viene considerato un covo del terrorismo islamico e quindi deve necessariamente essere
“terminato” e raso al suolo. Questa similitudine si nota infatti nella dichiarazione del governo indiano di avere colpito 9 siti “terroristici”, dichiarazione smentita dall’esercito pakistano che ha ribattuto che in questi raid è stata anche danneggiata una centrale idroelettrica sul proprio lato del confine con il Kashmir. La domanda sorge quindi spontanea: quali leggi internazionali, quali norme e consuetudini di guerra permettono di prendere di mira riserve idriche, dighe e impianti idroelettrici di un altro paese? Sembra quindi possibile la volontà di approfittare di un evento violento per iniziare un’escalation ad alti livelli. Nel frattempo il Pakistan, a fronte dell’incursione militare indiana, ha annunciato che reagirà in base all’articolo 51, Diritto alla difesa, della
Carta delle Nazioni Unite e cioè si riserverà il diritto di decidere come e quando rispondere in modo appropriato. Ma è chiaro che il “quando” è già una realtà in essere. Dall’alba dell’ 8 maggio 2025, sono infatti iniziati sul confine “de facto” del Kashmir scambi di colpi di fuoco di artiglieria e di armi leggere tra soldati dei due schieramenti. Mentre da più parti si susseguono appelli per la pace, come quello significativo della vincitrice pakistana del Nobel per la pace, Malala Yousafzai, che chiede di allentare la tensione e l’odio reciproco, il “vero nemico”, gli eserciti di India e Pakistan continuano schermaglie e
sparatorie a distanza.

Il Ministro degli esteri indiano ha riferito la notizia di 13 civili uccisi a Poonch e di 59 feriti dalle forze pakistane, lungo la linea di controllo (LoC) in Jammu e Kashmir a seguito dell’attacco indiano ai nove “obiettivi terroristici”. Da parte sua, l’esercito pakistano ha riferito di aver abbattuto 12 droni
indiani di fabbricazione israeliana lanciati contro varie località tra cui le
grandi città di Karachi e Lahore, con la precisazione che in quest’ultima si sono udite diverse esplosioni, e un drone indiano è stato abbattuto vicino all’aeroporto, con conseguente sospensione di tutte le operazioni di volo nei 4 principali scali del paese. La notizia dei droni è stata poi aggiornata con la precisazione che i velivoli distrutti sono al momento 25 tutti di fabbricazione israeliana, di tipo Harop, alcuni dei quali caduti nei pressi di installazioni militari
sensibili.


La giornata di oggi è continuata con morti annunciati anche da parte indiana, con 40-50 soldati sulla linea di controllo e 16 civili di cui 5 bambini uccisi, a seguito di colpi sparati dai soldati pakistani sulla linea di controllo. E in tutto ciò il governo di Nuova Delhi ha già fatto sfollare migliaia di
indiani dalle zone vicine al Kashmir pakistano. Da un punto di vista formale, nel deterioramento globale dei rapporti reciproci, l’India ha unilateralmente sospeso il trattato del 1960 sul fiume INDO, che prevede la ripartizione delle sue acque tra Pakistan (80%) e India (20%) e che garantisce l’irrigazione della piana del Punjab, cuore agrario del Pakistan.

Fonti ministeriali indiane affermano che in caso di conflitto completo, l’India metterà in atto qualunque mezzo per bloccare il flusso delle acque e per ridurre alla sete il popolo pakistano. Dal canto suo, il Pakistan ha sospeso l’accordo di SIMLA, del 1972, trattato che prevedeva la fine delle ostilità tra i governi di India e
Pakistan, dopo la guerra indo-pakistana del 1971. In attesa di novità dal Kashmir, concludo con alcune mie considerazioni:
1. In questa crisi, trovo ridicola e insostenibile la reazione di tutti i grandi primi ministri e presidenti delle nazioni occidentali che stanno solo pensando di riarmarsi, del presidente russo che continua una
guerra sanguinosa in Ucraina, del presidente turco che ha mandato il suo esercito ad appropriarsi di una parte della Siria: tutti questi
personaggi, oltre a continuare con un complice appoggio e un reo, vergognoso silenzio sullo sterminio in atto in Palestina, si stanno limitando ad una serie di consigli paternalistici ai governi indiano e pakistano, affinché mettano la testa a posto e facciano la pace… pura apparenza di facciata.
2. Trovo scorretto il fatto che il mondo occidentale sfrutti indebitamente l’Islamismo come capro espiatorio di tutti i fatti di violenza e terrorismo che insanguinano il mondo, quando al contrario, cercando
sotto la superficie della realtà, si scopre che molti dei gruppi responsabili di tali azioni sono legati e finanziati proprio da enti, governi e lobbies neoliberiste euro-americane, per scopi di lucro e di controllo mondiale. E senza contare che il dare la colpa sempre e in ogni luogo alla componente islamica non fa che alimentare e radicalizzare sentimenti di ingiustizia, rivalsa, vendetta.
3. Se ritorniamo a quanto accennato sopra e cioè alla rete di relazioni tra stati e governi come l’alleanza tra Cina e Pakistan da un lato e i legami tra U.S.A, India e Israele dall’altro, non si può evitare di pensare che questi conflitti regionali possano evolversi e deflagrare in una crisi globale. Quindi sarebbe opportuno e consigliabile che la comunità internazionale riconoscesse tutti questi segnali di allarme e di potenziali conflitti, e agisse concretamente con determinazione per promuovere la pace, il rispetto dei diritti umani e la risoluzione definitiva delle controversie tra popoli.
4. Chiedetevi sempre quando, dove, perché e con quali reali scopi nascano certe organizzazioni. Pensate a come e da chi vengono finanziate, così come faceva il compianto giudice Giovanni Falcone, quando parlava di “Follow the money”. Vi lascio, infine, con la speranza che esista ancora qualcuno su questa povera terra che usi liberamente il cuore e il cervello, non la pancia, non
l’orgoglio e non il portafoglio.
Solo così potremo pensare che questo nuovo spettro di morte svanisca davanti ai nostri occhi, senza farli piangere troppo. Un abbraccio e al prossimo aggiornamento. Anna.

09 maggio 2025 – ANNA TURLETTI – Qui Radio Londra Tv

 

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